sabato 31 ottobre 2009

Triumph e TAG Heuer insieme per McQueen special



Triumph, produttore di motociclette “made in UK” e TAG Heuer, il brand svizzero, rinomato per la realizzazione di splendidi orologi, presentano l’ultima novità al pubbico di appassionati motociclisti: la Bonneville versione “Heuer”.
La TAG Heuer Bonneville presenta una livrea esclusiva blu/arancione ispirata alla Porsche guidata dal mitico Steve McQueen nel film Le Mans, che a sua volta ha ispirato la grafica del modello Monaco 40° anniversario.
La ragione dell’accordo tra i due brand va ricercata nella passione per Steve McQueen, un’icona del cinema, un personaggio immortale e soprattutto un vero amante dei motori.
“Siamo onorati di ricoprire un ruolo importante in questo progetto. La Triumph Bonneville e il TAG Heuer Monaco sono oggetti senza tempo, che festeggiano rispettivamente il 50° e 40° anniversario celebrando il mito di Steve McQueen, un personaggio che ha segnato un’epoca, che amava indossare il Monaco e che è entrato nel nostro DNA, in virtù della passione che aveva per le nostre motociclette”. Questo il commento di Neil Morley, Head of Brand Communications in Triumph.
La Triumph Bonneville special è stata di recente presentata a Parigi da Lewis Hamilton, il pilota di Formula 1 campione del mondo nel 2008 e testimonial TAG Heuer e sarà visibile in alcuni dei migliori negozi TAG Heuer d’Europa.

mercoledì 21 ottobre 2009

Whipping Chopper


Il nuovo modello europeo marchiato Saxon Motorcycles si chiama Whip ed è un chopper tradizionale con telaio rigido e motore S&S che rispecchia i canoni estetici di questo stile tradizionale, aggiungendo l’esclusività di un prodotto costruito espressamente per il mercato europeo e dotato di omologazione Euro3
Durante l’ultima edizione della European Bike Week, la Saxon Motorcycles Europe, azienda ben nota agli appassionati americani ed europei, ha presentato all'Arneitz Custom Show il suo nuovo modello, il quarto destinato al mercato europeo; dopo la “low ride” Firestorm, il chopper Warlord e il bobber Henchman ecco arrivare sulle strade europee il nuovo hardtail chopper “Whip”. Se è vero che i chopper sono maggiormente diffusi negli Stati Uniti, la crescente domanda per questo genere di mezzi in Europa, e anche in Italia, ha fatto sì che l’azienda americana Saxon, con sede a Casa Grande in Arizona, abbia ormai da alcuni anni fondato la sua filiale europea in Olanda, iniziando a costruire modelli specifici per il mercato europeo, che in Italia sono venduti tramite la Legend Bikers di Martinengo (BG) e presto lo saranno anche in Spagna, mentre sono già ampiamente conosciuti nel Nord Europa.
La Whip è il primo chopper con telaio hardtail proposto dalla Saxon e questa è la differenza principale con il loro primo modello di successo Warlord, che dispone invece di una sospensione Softail, ma anche la forcella risulta sensibilmente più lunga, per interpretare al meglio il “chopper spirit”. La Whip si rivolge dunque soprattutto agli amanti dei veri chopper con telaio rigido, i puristi di questo stile, che desiderano però avere un mezzo affidabile e oltretutto munito di omologazione europea e garanzia del costruttore, un modo insomma per vivere la filosofia chopper con un mezzo che può essere comunque personalizzato dal cliente, senza per questo rinunciare ai vantaggi di una moto di serie omologata secondo l’ultima normativa Euro 3.
Le differenze con un mezzo di serie sono però evidenti: intanto la Whip viene assemblata a mano, ma con moderne tecnologie e inoltre, come tutti I modelli Saxon, è personalizzabile dal cliente al momento dell’ordine su una serie infinita di dettagli come i cerchi, che possono essere a raggi, come in questo caso, ma anche con disegno a razze, o le verniciature e le aerografie, tra le quali è disponibile anche quella del modello della presentazione con una trama a pelle di serpente, ma che possono comunque essere fatte anche su campione.
Gli elementi che invece non variano sono quelli relativi alla ciclistica e al motore. La prima si avvale di un telaio rigido con forcella allungata da 41 mm, angolo di inclinazione del cannotto di sterzo a 45° precisi, in ossequio alla tradizione chopperistica, valore ottenuto inclinando di 5° le piastre e di 40° la splendida forcella. Completano la dotazione ciclistica i cerchi a raggi, da 18 pollici il posteriore, con largo pneumatico di 200 mm, e di 21 pollici l’anteriore, che calza uno stretto pneumatico di 90 mm, e un impianto frenante dell’italiana Brembo, a dimostrazione che la qualità nell’azienda Saxon viene messa al primo posto. Il motore invece è un performante ma affidabile bicilindrico S&S Evolution Style da 96 c.i. (quasi 1600 cc), utilizzato anche sugli altri modelli Saxon, che calza a pennello all’interno del telaio tubolare; è alimentato a carburatore, con diffusore da 42 mm, ma rientra nelle direttive della normativa Euro 3 e abbina sapientemente le cromature di cui è naturalmente dotato con numerosi dettagli in nero opaco, come il coperchio del filtro aria o lo scarico due in uno. La trasmissione si avvale invece di un cambio Baker a 6 rapporti con la primaria a catena “custodita” all’interno del carter, perché se è vero che le primaria scoperte sono belle da vedere e di facile manutenzione è altrettanto sacrosanto che quelle chiuse sono molto più affidabili e durature, mentre la finale è di tipo tradizionale LSD (Left Side Drive) a catena, quindi con gli organi sulla sinistra.
Infine la dotazione è un connubio di accessori realizzati dalla stessa Saxon, che includono anche la strumentazione digitale, una comoda sella monoposto, un manubrio drag bar che rompe con la tradizione degli ape hanger, rivelandosi però molto più confortevole, e un impianto di illuminazione che pur tradizionale nella foggia consente una visibilità notturna pari a quella di una moto di serie.Il prototipo della Whip era già stato mostrato durante gli Hamburg Harley Days in Germania e il Custom Show Viva La Clusaz in Francia, durante i quali il pubblico ha accolto questo chopper con tanto entusiasmo e in breve tempo l’azienda l’ha reso disponibile sul mercato europeo. Anzi, a dire il vero al momento questo modello è disponibile solo in Europa. Non è la prima volta che la Saxon mostra prima in Europa uno dei suoi modelli; è stato così anche per la Henchman, presentata alla European Bike Week del 2008 e solo da poco in vendita anche negli Stati Uniti, dove esistono altri modelli Saxon espressamente costruiti per quel mercato, come la Crown, la Javelin, la Sceptre, la Villain e la Griffin, destinati al solo mercato domestico ma di fronte ai quali moto come la Whip non soffrono certo del complesso di inferiorità. Questo chopper di presenta infatti sul mercato europeo con tutte le caratteristiche estetiche care a questa filosofia così tradizionalista e con in più la cura costruttiva di un’azienda moderna come Saxon

lunedì 19 ottobre 2009

New Victory 2010

La gamma 2010 delle moto americane Victory, importate in Italia dalla Egimotors di Lissone come tutti i prodotti del marchio Polaris, si arricchisce di due nuovi modelli da turismo che strizzano l’occhio allo stile “bagger”. Dopo la Vision Tour ABS, presentata a EICMA 2008, caratterizzata da linee futuristiche, arrivano dunque la Cross Country e la Cross Roads, due modelli basati sulla stessa piattaforma ma differenti nella linea e nella dotazione. In comune i due nuovi modelli hanno il motore Freedom 106 bicilindrico a V di 50° di 1731 cc, con raffreddamento ad aria/olio, testate a 4 valvole e cambio a 6 rapporti con Overdrive, capace di sviluppare oltre 93 CV di potenza e 148 Nm di coppia.

La Cross Country (17.999 euro) è una tourer fornita di carenatura, tubolari di protezione “Highway Bar” e borse rigide, dotata di accessori come l’autoradio, completabile con il lettore iPod e il navigatore GPS, ma la dotazione opzionale comprende anche le manopole e il sedile riscaldabili, la retromarcia, più il solito elenco di schienali per passeggero e borse normalmente previsto per questa tipologia di moto. All’interno della carenatura, disponibile con parabrezza di diverse altezze, è ospitata la completa strumentazione, mentre a livello di comfort si segnalano le ampie pedane per pilota (regolabili) e passeggero, il manubrio regolabile e le borse laterali a sgancio rapido “Quick-Release”. La Cross Country, secondo le dichiarazioni della stessa Casa, si pone come antagonista della Harley-Davidson Street Glide, rispetto alla quale offre il 24% in più di capacità di carico, grazie alle borse che complessivamente hanno una capienza di 80 litri e 11 kg di portata massima (contro i 64 litri della H-D), il 52% in più di escursione media delle sospensioni (130 mm davanti e 120 dietro per la Victory, 117-51 per la H-D) e pedane più ampie (46 cm contro 32), a tutto vantaggio del comfort, mentre a livello di prestazioni la differenza di coppia è del 18% a favore della Victory (148 Nm contro 127 della Street Glide). La nuova Victory Cross Country sarà disponibile a partire dal 2010 in tre colorazioni: Solid Midnight Cherry (rosso ciliegia tinta unita), Solid Black (nero tinta unita) e infine Black/Graphite con disegni “Estreme Skulls”.


Rimanendo in tema di comparazioni, la rivale della H-D Road King in casa Victory si chiama Cross Roads (15.999 euro), dotata questa volta di un parabrezza in plexiglass amovibile, che offre comunque un alto livello di protezione, abbinato sempre alle “Highway Bar”. Le differenze sostanziali si evidenziano dunque all’avantreno, mentre per il passeggero sono offerti i classici poggiapiedi al posto delle pedane; rimane invariata invece la capienza delle borse laterali, così come le prestazioni del motore. In comune le due moto hanno anche alcune misure vitali come l’interasse di 1.670 mm e l’altezza sella di 667 mm, così come le sospensioni, costituite da una forcella a steli rovesciati di 43 mm davanti e da un monoammortizzatore regolabile dietro, le ruote di 18 e 16 pollici per avantreno e retrotreno, con pneumatici Dunlop 130/70 davanti e 180/60 dietro, e l’impianto frenante con tre dischi di 300 mm con pinze a quattro pistoncini davanti e a due dietro, mentre la capacità del serbatoio è per entrambe di 22 litri. Cambia invece il peso, che è di 347 kg per la Cross Country e 338 per la Cross Roads. Quest’ultima sarà in vendita nelle due sole colorazioni Solid Midnight Cherry e Solid Black.
Tutta la gamma Victory si rinnova per il 2010. Quest’anno saranno in tutto 14 i modelli, contro i 18 dell’anno 2009, che a dire il vero costituivano una gamma un po’ troppo articolata, soprattutto per il mercato europeo. Vediamo dunque nel dettaglio quali sono i modelli 2010, quali saranno quelli che non verranno più proposti e quali invece quelli nuovi o rinnovati, cominciando con la famiglia Touring, che comprende oltre alle due inedite Cross Country e Cross Roads anche l’ammiraglia Vision Tour (22.899 euro), disponibile anche in versione con ABS (23.399 euro), che presenta in versione MY2010 qualche miglioria alla strumentazione, all’impianto di scarico e alla dotazione, mentre escono dal listino la Vision Street (che compare però in un’altra famiglia con un differente nome) e la Kingpin Tour, versione accessoriata della cruiser Kingpin. Passando alle cosiddette Muscle Cruiser troviamo sempre la Hammer (17.290 euro) e la Hammer S (18.990), distinguibili dal pneumatico posteriore di 250 mm, anch’essi con lievi modifiche, più che alto estetiche, mentre la famiglia Custom Cruiser annovera tra i suoi componenti la Vegas (15.999 euro), la Kingpin (16.800 euro) e la (Vegas) Jackpot (17.699 euro), anch’essi interessati da alcuni lievi aggiornamenti.
Le ultime due famiglie stanno agli antipodi della gamma: quella più esclusiva è senza dubbio la Ness Signature, che comprende due modelli realizzati con dettagli esclusivi dai noti customizer Ness, i quali hanno posto la loro firma sulla Arlen Ness Vision e sulla Cory Ness Jackpot (entrambe a 23.699 euro). La famiglia 8-Ball è invece contraddistinta dall’essenzialità dei suoi modelli, che sono in pratica quelli più diffusi della gamma Victory, proposti a un prezzo più concorrenziale a fronte di una dotazione più contenuta o di un motorizzazione meno potente, rappresentando una piattaforma ideale per personalizzare e accessoriare la moto. Fanno parte di questa interessante gamma 4 modelli: la Kingpin 8-Ball (13.499 euro), la Vegas 8-Ball (12.499 euro) e le nuove Hammer 8-Ball (13.999 euro) e Vision 8-Ball (18.499 euro); quest’ultima in pratica sostituisce la Vision Street presente lo scorso anno e presenta alcune modifiche rispetto alla Vision Tour, come la sella e le sospensioni ribassate, soluzioni che si ritrovano su tutti i modelli di questa gamma.

Non cambiano invece i motori, dopo l’introduzione nel 2009 del nuovo bicilindrico Freedom da 106 pollici cubi, adottato per il 2010 su tutti e tre i modelli della gamma Touring e sulle Hammer (base ed S), sulla Vegas Jackpot e sulle due Ness Signature. Questo motore viene offerto con due livelli di potenza: Stage 1 con 92 HP (oltre 93 CV) di potenza e 148 Nm offerto sui modelli Touring, e Stage 2, con 97 HP (98,3 CV) e 153,2 Nm, grazie a un diverso albero a camme e alla differente mappatura della centralina, di serie sulle Cruiser. I modelli Vegas e Kingpin e la famiglia 8-Ball (ad eccezione della Vision 8-Ball che ha lo stesso propulsore delle sue omologhe più accessoriate) invece utilizzano ancora il “vecchio” propulsore 100, con il cambio a 6 marce Overdrive sui modelli Vegas e Kingpin e a cinque per le tre cruiser 8-Ball (Vegas, Hammer e Kingpin).Una gamma dunque molto articolata di modelli per ogni gusto, che comprende quest’annoanche la Cross Country e la Cross Roads, sui quali la Casa americana punta decisa molto e che presto vedremo anche sulle nostre strade.
http://www.victorymoto.com/

CR&S Duu Concept quasi svelata


Ormai ci siamo, dopo le prime bozze anticipate qualche mese fa, la CR&S Duu è pronta per fare il suo debutto a EICMA 2009

Il marchio CR&S, acronimo di Café Racers & Superbikes, sicuramente non sconosciuto agli amanti delle moto artigianali, nasce nel 1992 per iniziativa di Roberto Crepaldi, con lo scopo prima di mantenere viva la cultura e la tradizione delle moto classiche, e in seguito di coronare il suo sogno di costruire una motocicletta. Nel 2004 il marchio CR&S diviene proprietà della O.M.M. (Officina Meccanotecnica Milanese), nata nello stesso anno con lo scopo di progettare, sviluppare e produrre in proprio motocicli, commercializzati appunto attraverso il marchio “CR&S”, di esclusiva proprietà della O.M.M. e registrato in tutto il mondo. La prima moto realizzata dalla CR&S, grazie anche alla collaborazione di partner come Giuseppe Pattoni, figlio del costruttore Roberto, si chiama Vun, che in dialetto milanese significa “Uno” e vide la luce proprio nel 2004, equipaggiata con un monocilindrico Rotax di 650 cc.
Ora per la CR&S è giunta l’ora di passare al bicilindrico ed ecco quindi la Duu (manco a dirlo, due in milanese); due perché è la seconda moto della CR&S, due come i cilindri e la cilindrata in litri del motore X-Wedge con il quale è equipaggiata, il nuovissimo bicilindrico a V di 56° della S&S da 117 pollici cubi di cilindrata (pari appunto a quasi 2000 cc), alimentato a iniezione elettronica. La Duu sarà una bicilindrica essenziale, dal peso inferiore ai 250 kg, fruibile, come la Vun, sotto molti punti di vista, ma con il “plus” di un motore bicilindrico dalla potenza elevata e dalla coppia mostruosa. Il concetto di modularità e personalizzazione della Vun sarà ancora più estremo e partendo dal modulo base, sostituendo in pochi minuti alcuni componenti, si potranno avere una café racer, una cruiser a due posti, una streetfighter o una granturismo. La Duu unisce in sé le prestazioni di un bicilindrico americano con la ciclistica agile e veloce di una moto europea, costruita come sempre artigianalmente e sulle specifiche di ciascun cliente, come è ormai prassi nella filosofia del marchio CR&S, che sarà presente a EICMA per svelare la sua nuova opera al Pad. 2, stand I/30.
http://www.crs-motorcycles.com/




Rocket Fighter



Triumph ha recentemente presentato la quarta versione della Rocket III, la poderosa cruiser dotata del tricilindrico più grande al mondo, con i suoi 2,3 litri di cilindrata: la Rocket III Roadster è la più cattiva della gamma e dopo le cruiser Rocket III e Rocket III Classic e la tourer Rocket III Touring, la nuova Roadster si avvicina idealmente al concetto di streetfighter: nuda, essenziale e muscolosa sono tre aggettivi che identificano perfettamente l’indole di questa nuova proposta della Casa di Hinckley, che oltretutto incrementa i già sorprendenti valori di coppia (200 Nm a 2.500 giri per le Rocket III e Classic e 209 Nm a 2.025 giri per la Touring). La nuova Rocket III Roadster è infatti equipaggiata con la più recente versione del mastodontico tre cilindri Triumph da 2.294 cc, che grazie agli ultimi aggiornamenti vede crescere la potenza massima a 148 CV e incrementare la coppia del 15%, con un valore straordinario di 224 Nm.
La posizione di guida della Rocket III Roadster è completamente diversa dalle precedenti: le pedane sono più arretrate, più basse e strette rispetto alla versione standard, mentre la sella, più alta e inclinata in avanti, consente al pilota di raggiungere il manubrio più facilmente.


Cambiano anche le sospensioni posteriori, realizzate per offrire maggior comfort e migliori performance di guida, mentre dal punto di vista estetico molti particolari come i foderi della forcella, le piastre, la griglia del radiatore e le molle degli ammortizzatori posteriori sono stati verniciati di nero. Infine i nuovi silenziatori, uno per lato come sulla Touring, sono realizzati espressamente per questo modello. Sul fronte delle sicurezza e del comfort, la nuova streetfighter Triumph è equipaggiata di serie con un sofisticato sistema ABS specificamente sviluppato per la piattaforma Rocket III ed è stata aggiornata con una lunga lista di accorgimenti ergonomici e dettagli tecnici che ne hanno migliorato le qualità statiche e dinamiche rispetto ai modelli precedenti. La Rocket III Roadster verrà commercializzata a partire dal mese di dicembre in due colorazioni, Phantom Black (metallizzato) o Matt Black (opaco), al prezzo di 16.600 euro, sensibilmente inferiore a quello degli altri modelli della gamma, che con l’arrivo di questa versione si fa sempre più completa e interessante.
http://www.triumph.it/

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sabato 17 ottobre 2009

Welcome Back Commando

La Norton Commando torna a far battere i cuori degli appassionati! La notizia era nell’aria da diverso tempo, da quando cioè lo storico marchio britannico, dopo essere stato acquistato da una società americana a seguito della chiusura definitiva dell’azienda nel 1992, dopo diverse vicissitudini iniziate già negli anni Cinquanta, finalmente nel 2008 è stato riacquistato dal magnate inglese Stuart Garner che ha riaperto gli stabilimenti a pochi passi dal circuito di Donington Park

Il marchio inglese nacque alla fine del 900 e per oltre mezzo secolo produsse motociclette che passarono alla storia; una di questa fu senza dubbio la Commando, presentata per la prima volta al Salone di Londra del 1967 e prodotta dall’anno seguente fino al 1977. Nel 1956 la AMC (Associated Motor Cycles) aveva acquistato la Norton e trasferito le linee di montaggio da Birmingham a Woolwich, alla periferia di Londra ma anche questa gestione andò in crisi nel luglio del 1966 e l’intero gruppo (che comprendeva anche la AJS, la Matchless, la Francis-Barnett e la James) fu ceduto alla Manganese Bronze Holdings, che istituì la società Norton-Villiers e negli anni seguenti si concentrò solo sul marchio Norton; il primo prodotto di questa nuova gestione fu proprio la Commando 750 del 1968. Gli ultimi quarant’anni di storia della Norton sono segnati anch’essi da dissesti economici. Nel 1973 infatti venne fondata dal governo britannico la Norton-Villiers-Triumph (NVT) in seguito alla cessione da parte della Manganese Bronze della Norton-Villiers e nello stesso anno la Commando crebbe di cilindrata fino a 850 cc ma già nel 1978 la NVT venne messa in liquidazione. Nonostante questo la Norton riuscì a proseguire l'attività nel nuovo stabilimento a Shenstone, nello Staffordshire, dove iniziò la produzione dei birotori Wankel, ma negli anni a venire l’azienda britannica passò attraverso un numero pressoché infinito di gestioni e nel 1992 chiuse definitivamente i battenti, dopo aver vinto nello stesso anno il Senior TT all’Isola di Man con la F1 Wankel guidata da Steve Hislop. Il marchio venne rilevato da un’azienda americana guidata da Kenny Dreer che a partire dal 2000 con il nome di Norton Motorcycles Inc. iniziò lo sviluppo della nuova 961 Commando, il cui progetto venne però abbandonato nel 2006.


La storia recente vede dunque la Norton tornare nella natia Inghilterra dopo quindici anni, per merito di Mr. Garner, già proprietario della Norton Racing Ltd che attualmente si occupa dello sviluppo di una moto con motore rotativo Wankel, la NRV588, che ha debuttato quest’anno al Tourist Trophy. Il nuovo proprietario ha acquistato i diritti e i progetti relativi ai marchi Norton, Manx, Atlas, Commando e Dominator, tutti nomi di celebri modelli Norton. La nuova Commando 916 SE (dove SE sta per Special Edition) nasce infatti dallo sviluppo del progetto americano ed è ora pronta a essere commercializzata, anche se la produzione è limitata a 200 esemplari, per altro già tutti venduti “a scatola chiusa”. A questi esemplari dovrebbe seguire una produzione in serie del modello standard (si parla di 1500 unità l’anno) entro 2/3 anni.



La nuova Commando è spinta da un motore bicilindrico parallelo frontemarcia di 961 cc con raffreddamento misto aria/olio, distribuzione ad aste e bilancieri e due valvole per cilindro, rispettando la tradizione inglese, accreditato di 80 CV a 6.500 giri e circa 9° Nm di coppia a 5.200 giri. Rispetto al prototipo americano, che prevedeva due carburatori Keihin FCR di 39 mm, la nuova Commando ha invece l’iniezione elettronica e ovviamente è omologata Euro 3. La ciclistica si avvale invece di un telaio a traliccio in acciaio, forcellone in alluminio, sospensioni Öhlins con due ammortizzatori dietro e una forcella a steli tradizionali di 43 mm davanti, freni Brembo con due dischi davanti di 320 mm uno di 220 dietro e pregiati cerchi BST di 17” in carbonio, con cui sono realizzati anche diversi altri dettagli, per un peso di 188 kg, mentre l’interasse è di 1420, che lascia intendere una buona maneggevolezza. Nonostante la pregevolezza della dotazione, il prezzo della Commando 961 SE dovrebbe aggirarsi intorno ai 13.000 euro.
http://www.nortonmotorcycles.com/



venerdì 16 ottobre 2009

In esclusiva le moto dell'AMD


Una completa descrizione delle prime tre moto che hanno vinto il campionato mondiale AMD a Sturgis, con un ospite d'eccezione che apre il servizio, la Snatch realizzata da Satya Kraus, giunta quinta; terzo posto per la Overmile di Krugger ispirata alla H-D XR750, secondo per la Re-Flex-Tion di KrisKrome, con motore Triumph e sistema sterzante "Elastamerick", e primo assoluto Dave Cook della Cooks Customs di Milwaukee con la sua Rambler a quattro cilindri con propulsore longitudinale
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Essential Snatch

La Snatch realizzata da Satya Kraus rappresenta la realizzazione del sogno del customizer californiano: costruire una moto “Old Style” divertente e facile da guidare, con un motore performante; il risultato è stato ottenuto assemblando un bicilindrico RevTech/Harley di 91 c.i. con una ciclistica dall’aspetto vintage ma innovativa ed efficace come quelle moderne
Satya Kraus, il costruttore californiano di questa incredibile Snatch, per i suoi lavori trae ispirazioni da molte risorse, ma sono soprattutto le moto d’epoca o comunque in stile vintage a stimolare di più la sua fantasia. Satya infatti adora la semplicità e soprattutto l’estetica essenziale di queste moto, che hanno un fascino ineguagliabile dalla produzione moderna, ma soprattutto ama il look delle moto da corsa del passato, costituite essenzialmente da un motore potenziato, una ciclistica irrobustita ed efficace… e ben poco altro. Se si fondono insieme questi pochi capisaldi in una moto moderna che sia snella, leggera e capace di correre sulla strada in tutta sicurezza, grazie a una ciclistica composta da sospensioni raffinate e freni efficienti, si può avere a grandi linee un’idea di quello che è la Snatch da lui creata, con la quale è giunto quinto all’AMD World Championship di Sturgis nella categoria Freestyle, dopo avervi partecipato anche nel 2007, giungendo dodicesimo con la Kyrgyz motorizzata con un bicilindrico Panhead. Il team della Kraus Motor Company ha costruito la Snatch avendo bene in mente il concetto di custom e di alte prestazioni e cercando di fondere insieme questi due concetti spesso in antitesi tra loro. Da una parte la voglia di avere una moto diversa dalle altre che rispecchiasse l’attitudine e lo spirito di Satya, dall’altra il desiderio di non avere solo un bel oggetto da guidare, ma un mezzo performante capace di elevate prestazioni, pur rimanendo nell’ambito dei bicilindrici a V.
Per la costruzione del telaio e del comparto ciclistico in particolare si è pensato a una soluzione che consentisse di avere delle sospensioni efficienti con un’escursione di almeno 3 pollici (76 mm) ma allo stesso tempo il look di un telaio hardtail; avendo già optato per una essenzialità degli elementi della carrozzeria, la classica soluzione Softail non è stata presa in considerazione ma al suo posto compare un forcellone dotato di un ingegnoso sistema, realizzato da Kraus, denominato Rocker Suspension e già utilizzato sulla Kyrgyz del 2007, che utilizza una coppia di bilancieri posti sul mozzo ruota (che ricordano il sistema utilizzato per le forcelle Springer), azionati da altrettanti ammortizzatori Fox Float MXR. Questi ammortizzatori sono in realtà costruiti per essere montati sulle pitbike da fuoristrada tipo Kawasaki KLX 110 o Honda XR70 e CRF70, che in America sono molto popolari e pertanto sono di piccole dimensioni ma molto sofisticati dal punto di vista delle regolazioni. Tutto il telaio, in color bronzo, è l’emblema dell’essenzialità ed è stato costruito avendo in mente la funzionalità, e questo vale sia per la sospensioni posteriore, sia per il paramotore, che dona alla Snatch un look aggressivo, sia per la sospensione anteriore Springer, alloggiata su un cannotto di sterzo inclinato di soli 28°, a tutto vantaggio della maneggevolezza e della velocità di esecuzione delle curve. Tradizionalmente le forcelle Springer sono considerate antiquate e poco performanti, anche se indiscutibilmente belle da vedere, soprattutto per quanto riguarda la funzione principale di ammortizzamento delle asperità del terreno, situazione nella quale molto spesso gli avantreni Springer “rimbalzano”, rendendo la guida alle alte velocità sconsigliabile. Questo riguarda soprattutto le Springer d’epoca ma non certo quella costruita da Kraus che riesce a ottimizzare le caratteristiche positive di questa forcella, come ad esempio il ridotto affondamento in frenata e il peso non eccessivo, senza per questo subirne i difetti. Si tratta cioè di una forcella costruita in stile Springer ma con una funzionalità degna di una sospensione moderna. Come si nota guardandola, infatti, nonostante l’aspetto vintage dato dal bronzo di cui è rivestita, il sistema utilizza un moderno ammortizzatore centrale alloggiato sulla piastra superiore. Il manubrio, dalla piega fuoristradistica, presenta anch’esso delle innovazioni, dato che utilizza i sistemi Kraus Twist Controls sia per il freno sia per la frizione. In pratica ruotando al contrario la manopola destra si azionano i freni, ruotando invece quella sinistra come se si accelerasse si aziona la frizione, il tutto senza avere cavi o leve alla vista.
Il motore scelto per questa moto è un mix di due diversi bicilindrici, oltre che di due diverse epoche: è stato infatti assemblato utilizzando un basamento RevTech Evolution Style completo di cilindri, mentre le teste sono quelle di uno Shovelhead d’epoca perfettamente adattate, il tutto opportunamente modificato e potenziato, portato alla cilindrata di 91 pollici cubi (quasi 1490 cc) grazie a un alesaggio di 3.625 pollici (92 mm) e a una corsa “extralong” di 4.375 pollici (111 mm), col risultato che ora eroga potenza e coppia impensabili. Le teste sono state ovviamente lavorate per adattarsi ai cilindri di maggior cubatura, inoltre sono stati aggiunti un albero a camme Andrews, un’accensione Daytona Twin Tech e un carburatore S&S Super E da 48 mm. All’esterno i cilindri sono stati finemente lucidati e le alette di raffreddamento tornite, mentre per le teste, oltre alla torniture delle alette, si è provveduto anche a effettuare lo stesso lavoro di tornitura e a risagomare i coperchi dei bilancieri. Il lavoro di unione non è certo stato cosa da poco e al motore è stato aggiunto un cambio Baker di ultimissima generazione, il Powerbox a sei rapporti con primaria scoperta a cinghia e finale a catena, che oltretutto smorza di molto le vibrazioni tipiche di questi bicilindrici. Tra gli elementi non autocostruiti, per i quali Satya si è rivolto alla produzione italiana, ci sono invece una coppia di cerchi a raggi Alpina in alluminio anodizzato con pneumatici tubeless e i freni Brembo con pinze Serie Oro a 4 pistoncini.
Gli ultimi lavori hanno invece riguardato il telaietto reggisella, realizzato in alluminio, e la sella stessa di Beaver Leather Craft, mentre il minimale parafango, solidale ad essa, è costruito artigianalmente, così come il serbatoio, che ricorda vagamente nella forma quello della Honda CR250 Elsinore degli anni Settanta, anch’esso in alluminio spazzolato.
La Snatch non ha richiesto una verniciatura particolare, visto che il telaio è stato finito in colore bronzo utilizzando un rivestimento che crea una sorta di patina “antichizzata” sulla superficie del metallo, mentre i pezzi di alluminio e acciaio sono stati lucidati o spazzolati.
I lavori sono stati ultimati molto prima dell’inizio dell’AMD World Championship, visto che la Snatch ha partecipato anche all’Artistry In Iron durante la Las Vegas Bike Fest di ottobre. In seguito agli apprezzamenti ottenuti durante la manifestazione in Nevada, Satya ha poi deciso di tentare il grande passo, partecipando al Campionato Mondiale di Sturgis, ma la soddisfazione più grande il customizer californiano la ottiene quando guida tutti i giorni la sua Snatch e per giunta divertendosi anche moltissimo.

Guarda il video su Youtube


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XR Tribute

La Overmile è l’ultima realizzazione di Fred “Krugger” Bertrand, che ha ottenuto un meritato terzo posto all’AMD World Championship di Sturgis con una moto dalle linee ispirate al passato ma attentamente studiate per fornire un mezzo fruibile, oltre che esclusivo, dotato di tecnologie innovative come l’impianto frenante “Inboard” della Beringer

Frédéric “Krugger” Bertrand ha la sede della sua attività a Basse-Bodeux, un piccolo villaggio nella zona delle Ardenne, non molto distante dal circuito di Spa-Fancocamps. Dentro alla sua officina lavora anche contemporaneamente a più progetti, che spesso raggiungono le copertine dei giornali specializzati di tutto il mondo. Quello della Overmile ha visto la luce nei primi mesi del 2009 ed è durato fino a luglio, quando è stata spedita nel South Dakota. Tra i pregi di questa moto c’è anche quello di aver fatto da “collaudatrice” per un rivoluzionario sistema frenante marchiato Beringer di prossima generazione.
Fred spesso si ispira a moto del passato per realizzare moderni veicoli e così è stato anche per la Overmile; dopo che vide per la prima volta l
’Harley-Davidson XR1200, all’Intermot di Colonia nel 2006, il pensiero del customizer belga andò anni indietro all’originaria XR750 del 1970 (da cui la stessa 1200 traeva ispirazione) con motore a valvole in testa, che sostituiva la KR750 a valvole laterali e che dominò la scena del Dirt Track americano per decenni. La sola cosa che mancava in quel momento a Fred era un cliente che voleva quel tipo di moto, ma ben presto arrivò; Albert Alberty dal Lussemburgo è infatti il fortunato proprietario della Overmile, orgoglioso del fatto che la sua moto abbia partecipato all’AMD World Championship conquistando un terzo posto, anche se si può tranquillamente affermare che la Overmile sia l’unica moto giunta sul podio quest’anno che si possa davvero guidare senza problemi su strada, e questo è un altro punto a favore di Fred. Più o meno nello stesso periodo la Beringer, nota azienda produttrice di impianti frenanti un po’ per tutte le specialità, dal Supermotard alla pista, dal cross al custom, contattò Fred per proporgli di utilizzare il prototipo di un nuovo sistema frenante denominato “Inboard”, che aveva appena presentato all’EICMA di Milano del 2008, e il palco di Sturgis sembrava essere la location ideale per una presentazione applicata in grande stile. Dunque all’inizio del 2009, nello stesso periodo in cui i customizer europei si preparano per darsi battaglia al Custom Chrome Europe Dealershow di Mainz, cercando di vincere uno dei tre biglietti per Sturgis messi in palio, Fred iniziava a costruire la sua Overmile che doveva essere pronta in meno di sei mesi. Per la Overmile Fred ha scelto un motore S&S Shovelhead-style da 103 pollici cubi di cilindrata (quasi 1700 cc), la più elevata su questo tipo di bicilindrici, che replicano quelli prodotti dalla Casa di Milwaukee tra il 1966 e il 1984. Il telaio può sembrare a prima vista piuttosto convenzionale ma in realtà si tratta di un’opera artigianale, nella quale si può notare un richiamo con il leggendario Norton Featherbed del 1949 che, studiato per le moto da competizione che gareggiavano all’Isola di Man, venne poi introdotto anche sulla produzione di serie, andando ad equipaggiare moto come le Manx e le Dominator. Al telaio è stato collegato un forcellone oscillante, anch’esso artigianale i cui bracci sono composti in pratica da due tubi affiancati e saldati insieme, riprendendo il design semplice ma curato della struttura principale. Fred voleva che la sua moto fosse molto compatta e per ottenere questo risultato ha adottato diverse soluzioni: considerando che le H-D Sportster, così come la XR750, hanno il cambio integrato nel blocco motore, in primo luogo ha modificato la scatola del cambio a 6 rapporti Baker ruotandola di 90° verso l’alto e ricostruendo completamente la primaria a catena in stile racing. In secondo luogo, dato che il motore Shovel 103 S&S ha un’altezza leggermente superiore rispetto al suo omologo da 93 c.i. o a quello made in Milwaukee (tanto che non può essere montato sulle moto H-D in sostituzione del motore originale Shovelhead senza aver modificato il telaio) le teste hanno trovato alloggiamento incastonate in apposite sagome create all’interno delle due scocche che compongono il finto serbatoio; in tal modo questo componente, che in realtà racchiude l’impianto elettrico e il serbatoio dell’olio da 3,2 litri, ha potuto essere collocato molto in basso, “annegato” nel motore. La benzina è invece contenuta all’interno di un serbatoio da 10 litri ricavato nel codone, realizzato anch’esso con la foggia delle moto da corsa del passato e rivestito da una sella in pelle a due pezzi.
La ciclistica è completata da elementi altrettanto raffinati come una forcella Öhlins a steli rovesciati, sormontata da un faro semiartigianale di foggia trialistica, e due ammortizzatori Air Ride della francese Fournales, con serbatoio separato, nascosti sotto al telaio in stile Softail.
L’impianto frenante Beringer, utilizzato per la prima volta su una moto customizzata, merita una dissertazione a parte. L’azienda francese, alla costante ricerca di idee rivoluzionarie, si è sviluppata non solo nelle applicazioni motociclistiche ma anche in quelle aeronautiche ed è proprio ispirandosi al mondo degli aerei che ha creato questo nuovo impianto frenante denominato Inboard, un’applicazione stradale di un freno per aerei che fa della compattezza, della riduzione dell'inerzia, dell'abbattimento del peso e della riduzione di possibili rotture a causa di urti i propri punti di forza. Il sistema rivoluziona le convenzioni tecniche che da sempre caratterizzano i sistemi frenanti tradizionali che, come tutti i sistemi in movimento, trasformano l’energia cinetica in calore, calore che deve essere smaltino in fretta per evitare il surriscaldamento del liquido frenante e dello stesso disco. Beringer ha dunque affrontato questo problema dello smaltimento del calore con un approccio totalmente nuovo e inedito, simile appunto a quello utilizzato sui piccoli aerei. L’impianto, che nella sua struttura è relativamente semplice, è costituito da un mozzo centrale che alloggia al suo interno i dischi freno, nella cui superficie interna, per mezzo di una struttura in alluminio, vengono fissate le pinze a sei pistoncini con attacco assiale. È inoltre dotato di un sistema di circolazione forzata dell'aria, per raffreddare i dischi; in pratica l'aria viene convogliata dai dischi ed estratta da appositi fori presenti lungo la circonferenza del mozzo. L’impianto, così come progettato dalla Beringer, è stato montato sulla Overmile e Krugger gli ha dato semplicemente un look racing d’altri tempi, aggiungendo alcuni piccoli cavi di sicurezza per assicurare tra loro i bulloni di attacco. Una volta giunta a Sturgis la moto di Fred è stata oggetto di attenzioni anche da parte di “un tale” chiamato Willie G. Davidson, che si è complimentato con il customizer belga per il lavoro svolto su questa moto che sembra nata per correre ma che è a tutti gli effetti un mezzo fruibile nella sua unicità.

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Custom Re-flex-tion

Motore di una Triumph Bonneville, accessoristica ridotta e telaio con un sistema di sterzo degno di essere brevettato; queste in sintesi le caratteristiche salienti della “Re-flex-tion” di Kris Krome, che ridefinisce i canoni del motociclismo e del customizing tradizionali
L’AMD World Championship fin dalla sua prima edizione, nel 2004, ha rappresentato, soprattutto nella categoria Freestyle, la massima espressione della creatività, dell’innovazione e delle più avanzate soluzioni tecniche portate in scena dai customizer di tutto il mondo. Dunque design estremi e idee non convenzionali sono tutt’altro che rari in questa categoria, ma poche moto sono riuscite a mettere in dubbio i principi basici del motociclismo e della customizzazione come invece ha fatto Kris Chrome con la sua Re-flex-tion. La location al Champions Park, dove da tre anni si tiene l’AMD World Championship of Custombike Building, era come sempre gremita di addetti ai lavori e semplici curiosi ma attorno alla moto di Kris Krome c’era una vera e propria folla, presenza agevolata anche dall’assenza di una pur minima barriera o transenna, visto che Kris è stato presente tutto il tempo a rispondere alle domande più disparate su quella che potrebbe tranquillamente essere definita una concept bike radicale; tra queste, le più frequenti erano “che motore ha?”, “come si guida?” e infine “come fa a sterzare?” e guardando la moto nel suo complesso queste domande non appaiono poi così banali e scontate come potrebbe sembrare.
Kris non è certo alla sua prima partecipazione all’AMD, ma ogni anno la competizione si fa sempre più agguerrita e Kris sapeva che per rientrare almeno nei primi tre posti avrebbe dovuto proporre qualcosa di veramente speciale, non solo dal punto di vista della creatività, che a Kris certo non manca, ma anche da quello tecnico. Paradossalmente al fatto che i più importanti e ambiti appuntamenti dell’AMD si svolgano nel Nuovo Continente, esistono delle regole non scritte che chi vuole puntare in alto deve sapere, la prima delle quali è che una moto con un motore H-D o similare (quindi S&S, RevTech, ecc.) ha ben poche possibilità di guadagnare i primi posti nella classifica Freestyle. Questo non certo perché tali motori siano denigrati dalla giuria, ma semplicemente perché la loro perfezione intrinseca, meccanica ed estetica, fa sì che non siano possibili trasformazioni o adattamenti particolari; la moto insomma può essere il massimo della creatività, ma avrà sempre e comunque un motore “di serie”. Nella storia di questo contest si ricorda solo la Chicara Art, del Giapponese Chicara Nagata, giunta prima nel 2006 ed equipaggiata con un propulsore Flathead Model U del 1939, comunque profondamente rivisitato, cui fece seguito nel 2007 la Chicara Art Two con motore Flathead WLA del 1942, che adottava però un cambio di una Triumph del 1960, dunque anche in questo caso definirlo “di serie” appare riduttivo, trattandosi oltretutto di motori d’epoca.
La scelta del motore per la Re-flex-tion è caduta dunque su un bicilindrico in linea Triumph T120, un propulsore, e una moto, che hanno segnato la storia del motociclismo inglese e di tutto il mondo. Derivato dal motore della Tiger T110 del 1953, a sua volta sviluppato da quello della Thunderbird da 645 cc, il motore a due carburatori T120 vide la luce nel 1958 sulla Triumph Bonneville. Questo motore negli anni è stato utilizzato per diverse applicazioni, dalle più classiche café racer fino ai chopper più estremi. Quello scelto da Kris è stato completamente smontato e restaurato, anche rialesando la camicia dei cilindri (aumentando l’alesaggio di 0,8 mm, da 71 a 71,8 mm, con la cilindrata che sale da 649 a 664 cc), leggermente potenziato e infine lucidato in ogni suo particolare. Questo motore ha in sé le caratteristiche che Kris cercava da un motore: leggerezza, potenza, semplicità e affidabilità, soprattutto in vista del fatto che ogni moto che compete all’AMD deve obbligatoriamente essere funzionante e marciante.
L’aspetto più rivoluzionario di questa moto è senza dubbio il “Rolling Chassis”, ossia il telaio completo di forcellone e forcella, sebbene quest’ultima sia tutt’altro che convenzionale. Costruito a mano interamente in acciaio e lucidato, questo telaio infatti non presenta né un forcellone oscillante né tanto meno una forcella all’avantreno e il compito di smorzare le asperità del terreno è demandato tutto ai due sottili pneumatici da 23 pollici di diametro. La spiegazione del progetto ci viene data dallo stesso Kris che afferma che la Re-flex-tion è “una sorta di esperimento per testare il futuro concept”, un concept del concept insomma; ma la moto è perfettamente funzionante ed è dotata ovviamente anche di impianto elettrico, mentre gran parte dell’accessoristica sembra prelevata più da un catalogo di costose biciclette hi-tech da competizione più che dal normale after market da moto. Il freno invece è uno solo, montato sulla ruota anteriore. Tornando all’aspetto più interessante del telaio, questo è costituito da una sezione posteriore/inferiore, più tradizionale, dove sono alloggiati il motore e gli organi di trasmissione, mentre nella parte superiore/anteriore manca la testa di sterzo e i tubi del telaio, che fiancheggiano il minimale serbatoio, convergono senza soluzione di continuità verso la ruota anteriore con un andamento armonioso dal punto di vista estetico ma “inspiegabile” da quello pratico. Come fa infatti la moto a sterzare se i tubi del telaio sono direttamente collegati alla ruota? Questo tipo di avantreno realizzato da Kris è stato ribattezzato “Elastamerick”. In pratica la parte superiore/anteriore del telaio, che sostiene la ruota anteriore, è collegata alla parte inferiore tramite due punti di fulcraggio: il primo al retrotreno, in corrispondenza del punto di ancoraggio del tubolare della sella sul telaio e il secondo nella parte anteriore del telaio, appena sopra al motore; in questo moto tutta la parte superiore del telaio, insieme alla ruota anteriore, può “piegarsi” a destra o sinistra ruotando attorno a questi due perni, mentre la ruota posteriore sarà “obbligata” a seguire l’andamento della moto chiudendo la curva.
Certo la seduta su questo mezzo è altrettanto atipica, visto che si sta abbarbicati su un sellino da bicicletta, sebbene la postura assomigli a quella che si assume su una moto sportiva. Al momento Kris sta testando questo nuovo tipo telaio con i 50 cavalli del motore Triumph ma non è escluso che questa sua nuova idea possa trovare applicazioni anche su motori moderni. Di certo si tratta di un’idea decisamente originale, che ha stupito il pubblico e gli addetti ai lavori, facendo meritare alla Re-flex-tion il secondo posto nella categoria Freestyle, dietro alla Rambler della Cook Customs, mentre nella categoria “Metric” il risultato si è capovolto, dimostrando la difficoltà nell’assegnare la vittoria dai parte dei giudici, mentre Kris si è riportato nel Michigan il titolo di Vice Campione del Mondo e quello di vincitore della Metric Class.
http://www.kriskrome.com/

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And the winner is…

The Rambler: quattro cilindri di storia americana

La moto che ha vinto l’AMD World Championship a Sturgis non è come si potrebbe facilmente pensare una bicilindrica, bensì è dotata di un motore a quattro cilindri in linea nipponico opportunamente riadattato per assomigliare nell’estetica a uno dei quadricilindrici in linea longitudinali che equipaggiavano le moto americane agli inizi del 900 ; è stata realizzata da Dave Cook, che dopo alcune partecipazioni alle edizioni passate del campionato, porta ora a casa la meritata vittoria della sua Rambler
Per un customizer come Dave Cook, che ha la sede della sua attività, la Cooks Customs, nella zona nord della città di Milwaukee, a Belleview Place, a pochi passi dallo stabilimento Harley-Davidson, sarebbe fin troppo facile e ovvio costruire moto spinte dai celebri bicilindrici che qui vengono prodotti da oltre cento anni. Ma per la sua partecipazione all’edizione 2009 dell’AMD World Championship of Custom Bike Building tenutosi a Sturgis durante la Bike Week di agosto, Dave ha deciso di proporre qualcosa di davvero originale, una moto come la Rambler, mossa da un propulsore a quattro cilindri di origine Honda che nonostante i natali rievoca le prime motociclette a quattro cilindri costruite negli Stati Uniti agli inizi del 1900. Il progetto ha preso vita segretamente nascosto tra le mura dell’officina ma lontano da sguardi indiscreti. Questa volta lo stile Old School è stato ripreso utilizzando però un inedito motore a quattro cilindri montato longitudinalmente. Questo tipo di motore è stato utilizzato in passato da Case come la Henderson, che lo adottò fin dal suo debutto nel 1912 su tutta la produzione, cessata nel 1931, la Ace, fondata a Philadelphia dallo stesso Henderson nel 1919, la Indian, che utilizzo il progetto della quattro cilindri, acquistato dalla stessa Ace nel 1927, sulla Four fino al 1943, e infine la piccola Casa Militaire, attiva negli anni Dieci. Tutte queste aziende, americane al 100%, sono ancora oggi considerate le pioniere di questo tipo di motore, costruiti in un’epoca e in una nazione dove il V-Twin monopolizzava l’intero mercato.
Dave, dopo aver trovato un motore appartenuto a una Honda CB 550 del 1973 ha tentato quello che finora nessuno aveva mai osato fare con questo propulsore: l’ha infatti “girato” di 90° e inserito all’interno del telaio longitudinalmente.
In pratica il lavoro non è stato affatto semplice, soprattutto considerando che il quattro cilindri Honda di 544 cc con distribuzione monoalbero a camme in testa e accreditato di una cinquantina di cavalli non si presta a trasformazioni in stile Old School; tutto il motore è stato dunque smontato pezzo per pezzo, creando successivamente un nuovo blocco motore ricavato dal pieno e progettato secondo lo stile Old School. I quattro carburatori originali hanno quindi lasciato il posto a un singolo Zenith, collegato a un collettore quattro in uno di aspetto old-style, identico nella foggia proprio a quelli che venivano montati nei primi decenni del secolo scorso sulle prime moto a quattro cilindri.
Allo stesso modo, sul lato opposto del motore, anche i collettori di scarico si riuniscono in un unico silenziatore, antenato degli odierni “quattro in uno”. Per questo tipo di motore la trasmissione finale ad albero è senza dubbio la soluzione più adatta oltre che quella più semplice dal punto di vista tecnico. Da una BMW è stato prelevato il cambio, trapianto altrettanto logico per i motivi sopraccitati, ma per rendere la sfida ancora più difficile Dave ha utilizzato gli ingranaggi del cambio a quattro rapporti di una R75 del secondo dopoguerra, montandoli all’interno della scatola cambio di un ancora più datata R23, lasciando alla vista gli snodi dell’albero di trasmissione, che si congiunge alla ruota posteriore per mezzo di un giunto prelevato da una vecchia Yamaha a cardano. Anche un occhio esperto farebbe fatica a riconoscere il propulsore Honda, installato all’interno del telaio artigianale realizzato da Dave per la Rambler, oltretutto “camuffato” con una verniciatura nera “vintage” e da finiture al nickel. Tutti i componenti della moto sono realizzati a mano su misura per questa moto, a partire dal telaio, anch’esso “nickelato”, così come l’originale forcella oscillante in stile Girder, con i due bracci curvi collegati alla piastra superiore da un ammortizzatore sospeso, per non parlare di una miriade di altri pezzi tirati a mano, come i dischi freno circonferenziali, che sono una specialità di Dave Cook, già utilizzata su altre sue costruzioni estreme, tra cui anche la Nickel Bike e la Gold Digger, e adottano pinze della Jay Brake a due pistonicini. In pratica, ad eccezione del carburatore, dei mozzi e raggi ruota, dei pneumatici e delle pinze freno, tutto il resto dei componenti è fabbricato direttamente da Dave Cook. Tra i dettagli più significativi, che rievocano la storia motociclistica americana, oltre ai numerosi particolari in ottone anticato, c’è anche il logo stesso della moto, che campeggia non sul serbatoio ma sul cannotto di sterzo; proviene infatti dall’antica fabbrica di biciclette Gormully & Jefferey che a partire dall’anno 1878 iniziò la produzione di biciclette chiamate “Rambler”, ma lo stesso nome venne utilizzato dai due soci agli inizi del XX secolo quando iniziarono a costruire automobili, che vennero chiamate appunto Rambler. In particolare il logo utilizzato per questa moto è quello che veniva posto sulle biciclette Rambler “Model 43” del 1901. Per quanto riguarda gli aspetti pratici, la posizione di guida è decisamente bassa con la sella, realizzata dallo specialista Rich Phillips, che non offre il benché minimo comfort, il cambio è di tipo manuale, con la leva sul lato destro e la frizione a pedale, mentre le leve al manubrio sono di tipo old style con attacco all’esterno della manopola stessa, in questo caso rivestita da strati di legno laminato. Decisamente una moto unica questa Rambler, che si è guadagnata meritevolmente il primo posto nella classifica Frestyle. Da oggi, quando sentirete parlare di motociclette made in Milwaukee guardate bene il motore prima di giungere a conclusioni affrettate!
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