venerdì 16 ottobre 2009

In esclusiva le moto dell'AMD


Una completa descrizione delle prime tre moto che hanno vinto il campionato mondiale AMD a Sturgis, con un ospite d'eccezione che apre il servizio, la Snatch realizzata da Satya Kraus, giunta quinta; terzo posto per la Overmile di Krugger ispirata alla H-D XR750, secondo per la Re-Flex-Tion di KrisKrome, con motore Triumph e sistema sterzante "Elastamerick", e primo assoluto Dave Cook della Cooks Customs di Milwaukee con la sua Rambler a quattro cilindri con propulsore longitudinale
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Essential Snatch

La Snatch realizzata da Satya Kraus rappresenta la realizzazione del sogno del customizer californiano: costruire una moto “Old Style” divertente e facile da guidare, con un motore performante; il risultato è stato ottenuto assemblando un bicilindrico RevTech/Harley di 91 c.i. con una ciclistica dall’aspetto vintage ma innovativa ed efficace come quelle moderne
Satya Kraus, il costruttore californiano di questa incredibile Snatch, per i suoi lavori trae ispirazioni da molte risorse, ma sono soprattutto le moto d’epoca o comunque in stile vintage a stimolare di più la sua fantasia. Satya infatti adora la semplicità e soprattutto l’estetica essenziale di queste moto, che hanno un fascino ineguagliabile dalla produzione moderna, ma soprattutto ama il look delle moto da corsa del passato, costituite essenzialmente da un motore potenziato, una ciclistica irrobustita ed efficace… e ben poco altro. Se si fondono insieme questi pochi capisaldi in una moto moderna che sia snella, leggera e capace di correre sulla strada in tutta sicurezza, grazie a una ciclistica composta da sospensioni raffinate e freni efficienti, si può avere a grandi linee un’idea di quello che è la Snatch da lui creata, con la quale è giunto quinto all’AMD World Championship di Sturgis nella categoria Freestyle, dopo avervi partecipato anche nel 2007, giungendo dodicesimo con la Kyrgyz motorizzata con un bicilindrico Panhead. Il team della Kraus Motor Company ha costruito la Snatch avendo bene in mente il concetto di custom e di alte prestazioni e cercando di fondere insieme questi due concetti spesso in antitesi tra loro. Da una parte la voglia di avere una moto diversa dalle altre che rispecchiasse l’attitudine e lo spirito di Satya, dall’altra il desiderio di non avere solo un bel oggetto da guidare, ma un mezzo performante capace di elevate prestazioni, pur rimanendo nell’ambito dei bicilindrici a V.
Per la costruzione del telaio e del comparto ciclistico in particolare si è pensato a una soluzione che consentisse di avere delle sospensioni efficienti con un’escursione di almeno 3 pollici (76 mm) ma allo stesso tempo il look di un telaio hardtail; avendo già optato per una essenzialità degli elementi della carrozzeria, la classica soluzione Softail non è stata presa in considerazione ma al suo posto compare un forcellone dotato di un ingegnoso sistema, realizzato da Kraus, denominato Rocker Suspension e già utilizzato sulla Kyrgyz del 2007, che utilizza una coppia di bilancieri posti sul mozzo ruota (che ricordano il sistema utilizzato per le forcelle Springer), azionati da altrettanti ammortizzatori Fox Float MXR. Questi ammortizzatori sono in realtà costruiti per essere montati sulle pitbike da fuoristrada tipo Kawasaki KLX 110 o Honda XR70 e CRF70, che in America sono molto popolari e pertanto sono di piccole dimensioni ma molto sofisticati dal punto di vista delle regolazioni. Tutto il telaio, in color bronzo, è l’emblema dell’essenzialità ed è stato costruito avendo in mente la funzionalità, e questo vale sia per la sospensioni posteriore, sia per il paramotore, che dona alla Snatch un look aggressivo, sia per la sospensione anteriore Springer, alloggiata su un cannotto di sterzo inclinato di soli 28°, a tutto vantaggio della maneggevolezza e della velocità di esecuzione delle curve. Tradizionalmente le forcelle Springer sono considerate antiquate e poco performanti, anche se indiscutibilmente belle da vedere, soprattutto per quanto riguarda la funzione principale di ammortizzamento delle asperità del terreno, situazione nella quale molto spesso gli avantreni Springer “rimbalzano”, rendendo la guida alle alte velocità sconsigliabile. Questo riguarda soprattutto le Springer d’epoca ma non certo quella costruita da Kraus che riesce a ottimizzare le caratteristiche positive di questa forcella, come ad esempio il ridotto affondamento in frenata e il peso non eccessivo, senza per questo subirne i difetti. Si tratta cioè di una forcella costruita in stile Springer ma con una funzionalità degna di una sospensione moderna. Come si nota guardandola, infatti, nonostante l’aspetto vintage dato dal bronzo di cui è rivestita, il sistema utilizza un moderno ammortizzatore centrale alloggiato sulla piastra superiore. Il manubrio, dalla piega fuoristradistica, presenta anch’esso delle innovazioni, dato che utilizza i sistemi Kraus Twist Controls sia per il freno sia per la frizione. In pratica ruotando al contrario la manopola destra si azionano i freni, ruotando invece quella sinistra come se si accelerasse si aziona la frizione, il tutto senza avere cavi o leve alla vista.
Il motore scelto per questa moto è un mix di due diversi bicilindrici, oltre che di due diverse epoche: è stato infatti assemblato utilizzando un basamento RevTech Evolution Style completo di cilindri, mentre le teste sono quelle di uno Shovelhead d’epoca perfettamente adattate, il tutto opportunamente modificato e potenziato, portato alla cilindrata di 91 pollici cubi (quasi 1490 cc) grazie a un alesaggio di 3.625 pollici (92 mm) e a una corsa “extralong” di 4.375 pollici (111 mm), col risultato che ora eroga potenza e coppia impensabili. Le teste sono state ovviamente lavorate per adattarsi ai cilindri di maggior cubatura, inoltre sono stati aggiunti un albero a camme Andrews, un’accensione Daytona Twin Tech e un carburatore S&S Super E da 48 mm. All’esterno i cilindri sono stati finemente lucidati e le alette di raffreddamento tornite, mentre per le teste, oltre alla torniture delle alette, si è provveduto anche a effettuare lo stesso lavoro di tornitura e a risagomare i coperchi dei bilancieri. Il lavoro di unione non è certo stato cosa da poco e al motore è stato aggiunto un cambio Baker di ultimissima generazione, il Powerbox a sei rapporti con primaria scoperta a cinghia e finale a catena, che oltretutto smorza di molto le vibrazioni tipiche di questi bicilindrici. Tra gli elementi non autocostruiti, per i quali Satya si è rivolto alla produzione italiana, ci sono invece una coppia di cerchi a raggi Alpina in alluminio anodizzato con pneumatici tubeless e i freni Brembo con pinze Serie Oro a 4 pistoncini.
Gli ultimi lavori hanno invece riguardato il telaietto reggisella, realizzato in alluminio, e la sella stessa di Beaver Leather Craft, mentre il minimale parafango, solidale ad essa, è costruito artigianalmente, così come il serbatoio, che ricorda vagamente nella forma quello della Honda CR250 Elsinore degli anni Settanta, anch’esso in alluminio spazzolato.
La Snatch non ha richiesto una verniciatura particolare, visto che il telaio è stato finito in colore bronzo utilizzando un rivestimento che crea una sorta di patina “antichizzata” sulla superficie del metallo, mentre i pezzi di alluminio e acciaio sono stati lucidati o spazzolati.
I lavori sono stati ultimati molto prima dell’inizio dell’AMD World Championship, visto che la Snatch ha partecipato anche all’Artistry In Iron durante la Las Vegas Bike Fest di ottobre. In seguito agli apprezzamenti ottenuti durante la manifestazione in Nevada, Satya ha poi deciso di tentare il grande passo, partecipando al Campionato Mondiale di Sturgis, ma la soddisfazione più grande il customizer californiano la ottiene quando guida tutti i giorni la sua Snatch e per giunta divertendosi anche moltissimo.

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XR Tribute

La Overmile è l’ultima realizzazione di Fred “Krugger” Bertrand, che ha ottenuto un meritato terzo posto all’AMD World Championship di Sturgis con una moto dalle linee ispirate al passato ma attentamente studiate per fornire un mezzo fruibile, oltre che esclusivo, dotato di tecnologie innovative come l’impianto frenante “Inboard” della Beringer

Frédéric “Krugger” Bertrand ha la sede della sua attività a Basse-Bodeux, un piccolo villaggio nella zona delle Ardenne, non molto distante dal circuito di Spa-Fancocamps. Dentro alla sua officina lavora anche contemporaneamente a più progetti, che spesso raggiungono le copertine dei giornali specializzati di tutto il mondo. Quello della Overmile ha visto la luce nei primi mesi del 2009 ed è durato fino a luglio, quando è stata spedita nel South Dakota. Tra i pregi di questa moto c’è anche quello di aver fatto da “collaudatrice” per un rivoluzionario sistema frenante marchiato Beringer di prossima generazione.
Fred spesso si ispira a moto del passato per realizzare moderni veicoli e così è stato anche per la Overmile; dopo che vide per la prima volta l
’Harley-Davidson XR1200, all’Intermot di Colonia nel 2006, il pensiero del customizer belga andò anni indietro all’originaria XR750 del 1970 (da cui la stessa 1200 traeva ispirazione) con motore a valvole in testa, che sostituiva la KR750 a valvole laterali e che dominò la scena del Dirt Track americano per decenni. La sola cosa che mancava in quel momento a Fred era un cliente che voleva quel tipo di moto, ma ben presto arrivò; Albert Alberty dal Lussemburgo è infatti il fortunato proprietario della Overmile, orgoglioso del fatto che la sua moto abbia partecipato all’AMD World Championship conquistando un terzo posto, anche se si può tranquillamente affermare che la Overmile sia l’unica moto giunta sul podio quest’anno che si possa davvero guidare senza problemi su strada, e questo è un altro punto a favore di Fred. Più o meno nello stesso periodo la Beringer, nota azienda produttrice di impianti frenanti un po’ per tutte le specialità, dal Supermotard alla pista, dal cross al custom, contattò Fred per proporgli di utilizzare il prototipo di un nuovo sistema frenante denominato “Inboard”, che aveva appena presentato all’EICMA di Milano del 2008, e il palco di Sturgis sembrava essere la location ideale per una presentazione applicata in grande stile. Dunque all’inizio del 2009, nello stesso periodo in cui i customizer europei si preparano per darsi battaglia al Custom Chrome Europe Dealershow di Mainz, cercando di vincere uno dei tre biglietti per Sturgis messi in palio, Fred iniziava a costruire la sua Overmile che doveva essere pronta in meno di sei mesi. Per la Overmile Fred ha scelto un motore S&S Shovelhead-style da 103 pollici cubi di cilindrata (quasi 1700 cc), la più elevata su questo tipo di bicilindrici, che replicano quelli prodotti dalla Casa di Milwaukee tra il 1966 e il 1984. Il telaio può sembrare a prima vista piuttosto convenzionale ma in realtà si tratta di un’opera artigianale, nella quale si può notare un richiamo con il leggendario Norton Featherbed del 1949 che, studiato per le moto da competizione che gareggiavano all’Isola di Man, venne poi introdotto anche sulla produzione di serie, andando ad equipaggiare moto come le Manx e le Dominator. Al telaio è stato collegato un forcellone oscillante, anch’esso artigianale i cui bracci sono composti in pratica da due tubi affiancati e saldati insieme, riprendendo il design semplice ma curato della struttura principale. Fred voleva che la sua moto fosse molto compatta e per ottenere questo risultato ha adottato diverse soluzioni: considerando che le H-D Sportster, così come la XR750, hanno il cambio integrato nel blocco motore, in primo luogo ha modificato la scatola del cambio a 6 rapporti Baker ruotandola di 90° verso l’alto e ricostruendo completamente la primaria a catena in stile racing. In secondo luogo, dato che il motore Shovel 103 S&S ha un’altezza leggermente superiore rispetto al suo omologo da 93 c.i. o a quello made in Milwaukee (tanto che non può essere montato sulle moto H-D in sostituzione del motore originale Shovelhead senza aver modificato il telaio) le teste hanno trovato alloggiamento incastonate in apposite sagome create all’interno delle due scocche che compongono il finto serbatoio; in tal modo questo componente, che in realtà racchiude l’impianto elettrico e il serbatoio dell’olio da 3,2 litri, ha potuto essere collocato molto in basso, “annegato” nel motore. La benzina è invece contenuta all’interno di un serbatoio da 10 litri ricavato nel codone, realizzato anch’esso con la foggia delle moto da corsa del passato e rivestito da una sella in pelle a due pezzi.
La ciclistica è completata da elementi altrettanto raffinati come una forcella Öhlins a steli rovesciati, sormontata da un faro semiartigianale di foggia trialistica, e due ammortizzatori Air Ride della francese Fournales, con serbatoio separato, nascosti sotto al telaio in stile Softail.
L’impianto frenante Beringer, utilizzato per la prima volta su una moto customizzata, merita una dissertazione a parte. L’azienda francese, alla costante ricerca di idee rivoluzionarie, si è sviluppata non solo nelle applicazioni motociclistiche ma anche in quelle aeronautiche ed è proprio ispirandosi al mondo degli aerei che ha creato questo nuovo impianto frenante denominato Inboard, un’applicazione stradale di un freno per aerei che fa della compattezza, della riduzione dell'inerzia, dell'abbattimento del peso e della riduzione di possibili rotture a causa di urti i propri punti di forza. Il sistema rivoluziona le convenzioni tecniche che da sempre caratterizzano i sistemi frenanti tradizionali che, come tutti i sistemi in movimento, trasformano l’energia cinetica in calore, calore che deve essere smaltino in fretta per evitare il surriscaldamento del liquido frenante e dello stesso disco. Beringer ha dunque affrontato questo problema dello smaltimento del calore con un approccio totalmente nuovo e inedito, simile appunto a quello utilizzato sui piccoli aerei. L’impianto, che nella sua struttura è relativamente semplice, è costituito da un mozzo centrale che alloggia al suo interno i dischi freno, nella cui superficie interna, per mezzo di una struttura in alluminio, vengono fissate le pinze a sei pistoncini con attacco assiale. È inoltre dotato di un sistema di circolazione forzata dell'aria, per raffreddare i dischi; in pratica l'aria viene convogliata dai dischi ed estratta da appositi fori presenti lungo la circonferenza del mozzo. L’impianto, così come progettato dalla Beringer, è stato montato sulla Overmile e Krugger gli ha dato semplicemente un look racing d’altri tempi, aggiungendo alcuni piccoli cavi di sicurezza per assicurare tra loro i bulloni di attacco. Una volta giunta a Sturgis la moto di Fred è stata oggetto di attenzioni anche da parte di “un tale” chiamato Willie G. Davidson, che si è complimentato con il customizer belga per il lavoro svolto su questa moto che sembra nata per correre ma che è a tutti gli effetti un mezzo fruibile nella sua unicità.

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Custom Re-flex-tion

Motore di una Triumph Bonneville, accessoristica ridotta e telaio con un sistema di sterzo degno di essere brevettato; queste in sintesi le caratteristiche salienti della “Re-flex-tion” di Kris Krome, che ridefinisce i canoni del motociclismo e del customizing tradizionali
L’AMD World Championship fin dalla sua prima edizione, nel 2004, ha rappresentato, soprattutto nella categoria Freestyle, la massima espressione della creatività, dell’innovazione e delle più avanzate soluzioni tecniche portate in scena dai customizer di tutto il mondo. Dunque design estremi e idee non convenzionali sono tutt’altro che rari in questa categoria, ma poche moto sono riuscite a mettere in dubbio i principi basici del motociclismo e della customizzazione come invece ha fatto Kris Chrome con la sua Re-flex-tion. La location al Champions Park, dove da tre anni si tiene l’AMD World Championship of Custombike Building, era come sempre gremita di addetti ai lavori e semplici curiosi ma attorno alla moto di Kris Krome c’era una vera e propria folla, presenza agevolata anche dall’assenza di una pur minima barriera o transenna, visto che Kris è stato presente tutto il tempo a rispondere alle domande più disparate su quella che potrebbe tranquillamente essere definita una concept bike radicale; tra queste, le più frequenti erano “che motore ha?”, “come si guida?” e infine “come fa a sterzare?” e guardando la moto nel suo complesso queste domande non appaiono poi così banali e scontate come potrebbe sembrare.
Kris non è certo alla sua prima partecipazione all’AMD, ma ogni anno la competizione si fa sempre più agguerrita e Kris sapeva che per rientrare almeno nei primi tre posti avrebbe dovuto proporre qualcosa di veramente speciale, non solo dal punto di vista della creatività, che a Kris certo non manca, ma anche da quello tecnico. Paradossalmente al fatto che i più importanti e ambiti appuntamenti dell’AMD si svolgano nel Nuovo Continente, esistono delle regole non scritte che chi vuole puntare in alto deve sapere, la prima delle quali è che una moto con un motore H-D o similare (quindi S&S, RevTech, ecc.) ha ben poche possibilità di guadagnare i primi posti nella classifica Freestyle. Questo non certo perché tali motori siano denigrati dalla giuria, ma semplicemente perché la loro perfezione intrinseca, meccanica ed estetica, fa sì che non siano possibili trasformazioni o adattamenti particolari; la moto insomma può essere il massimo della creatività, ma avrà sempre e comunque un motore “di serie”. Nella storia di questo contest si ricorda solo la Chicara Art, del Giapponese Chicara Nagata, giunta prima nel 2006 ed equipaggiata con un propulsore Flathead Model U del 1939, comunque profondamente rivisitato, cui fece seguito nel 2007 la Chicara Art Two con motore Flathead WLA del 1942, che adottava però un cambio di una Triumph del 1960, dunque anche in questo caso definirlo “di serie” appare riduttivo, trattandosi oltretutto di motori d’epoca.
La scelta del motore per la Re-flex-tion è caduta dunque su un bicilindrico in linea Triumph T120, un propulsore, e una moto, che hanno segnato la storia del motociclismo inglese e di tutto il mondo. Derivato dal motore della Tiger T110 del 1953, a sua volta sviluppato da quello della Thunderbird da 645 cc, il motore a due carburatori T120 vide la luce nel 1958 sulla Triumph Bonneville. Questo motore negli anni è stato utilizzato per diverse applicazioni, dalle più classiche café racer fino ai chopper più estremi. Quello scelto da Kris è stato completamente smontato e restaurato, anche rialesando la camicia dei cilindri (aumentando l’alesaggio di 0,8 mm, da 71 a 71,8 mm, con la cilindrata che sale da 649 a 664 cc), leggermente potenziato e infine lucidato in ogni suo particolare. Questo motore ha in sé le caratteristiche che Kris cercava da un motore: leggerezza, potenza, semplicità e affidabilità, soprattutto in vista del fatto che ogni moto che compete all’AMD deve obbligatoriamente essere funzionante e marciante.
L’aspetto più rivoluzionario di questa moto è senza dubbio il “Rolling Chassis”, ossia il telaio completo di forcellone e forcella, sebbene quest’ultima sia tutt’altro che convenzionale. Costruito a mano interamente in acciaio e lucidato, questo telaio infatti non presenta né un forcellone oscillante né tanto meno una forcella all’avantreno e il compito di smorzare le asperità del terreno è demandato tutto ai due sottili pneumatici da 23 pollici di diametro. La spiegazione del progetto ci viene data dallo stesso Kris che afferma che la Re-flex-tion è “una sorta di esperimento per testare il futuro concept”, un concept del concept insomma; ma la moto è perfettamente funzionante ed è dotata ovviamente anche di impianto elettrico, mentre gran parte dell’accessoristica sembra prelevata più da un catalogo di costose biciclette hi-tech da competizione più che dal normale after market da moto. Il freno invece è uno solo, montato sulla ruota anteriore. Tornando all’aspetto più interessante del telaio, questo è costituito da una sezione posteriore/inferiore, più tradizionale, dove sono alloggiati il motore e gli organi di trasmissione, mentre nella parte superiore/anteriore manca la testa di sterzo e i tubi del telaio, che fiancheggiano il minimale serbatoio, convergono senza soluzione di continuità verso la ruota anteriore con un andamento armonioso dal punto di vista estetico ma “inspiegabile” da quello pratico. Come fa infatti la moto a sterzare se i tubi del telaio sono direttamente collegati alla ruota? Questo tipo di avantreno realizzato da Kris è stato ribattezzato “Elastamerick”. In pratica la parte superiore/anteriore del telaio, che sostiene la ruota anteriore, è collegata alla parte inferiore tramite due punti di fulcraggio: il primo al retrotreno, in corrispondenza del punto di ancoraggio del tubolare della sella sul telaio e il secondo nella parte anteriore del telaio, appena sopra al motore; in questo moto tutta la parte superiore del telaio, insieme alla ruota anteriore, può “piegarsi” a destra o sinistra ruotando attorno a questi due perni, mentre la ruota posteriore sarà “obbligata” a seguire l’andamento della moto chiudendo la curva.
Certo la seduta su questo mezzo è altrettanto atipica, visto che si sta abbarbicati su un sellino da bicicletta, sebbene la postura assomigli a quella che si assume su una moto sportiva. Al momento Kris sta testando questo nuovo tipo telaio con i 50 cavalli del motore Triumph ma non è escluso che questa sua nuova idea possa trovare applicazioni anche su motori moderni. Di certo si tratta di un’idea decisamente originale, che ha stupito il pubblico e gli addetti ai lavori, facendo meritare alla Re-flex-tion il secondo posto nella categoria Freestyle, dietro alla Rambler della Cook Customs, mentre nella categoria “Metric” il risultato si è capovolto, dimostrando la difficoltà nell’assegnare la vittoria dai parte dei giudici, mentre Kris si è riportato nel Michigan il titolo di Vice Campione del Mondo e quello di vincitore della Metric Class.
http://www.kriskrome.com/

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And the winner is…

The Rambler: quattro cilindri di storia americana

La moto che ha vinto l’AMD World Championship a Sturgis non è come si potrebbe facilmente pensare una bicilindrica, bensì è dotata di un motore a quattro cilindri in linea nipponico opportunamente riadattato per assomigliare nell’estetica a uno dei quadricilindrici in linea longitudinali che equipaggiavano le moto americane agli inizi del 900 ; è stata realizzata da Dave Cook, che dopo alcune partecipazioni alle edizioni passate del campionato, porta ora a casa la meritata vittoria della sua Rambler
Per un customizer come Dave Cook, che ha la sede della sua attività, la Cooks Customs, nella zona nord della città di Milwaukee, a Belleview Place, a pochi passi dallo stabilimento Harley-Davidson, sarebbe fin troppo facile e ovvio costruire moto spinte dai celebri bicilindrici che qui vengono prodotti da oltre cento anni. Ma per la sua partecipazione all’edizione 2009 dell’AMD World Championship of Custom Bike Building tenutosi a Sturgis durante la Bike Week di agosto, Dave ha deciso di proporre qualcosa di davvero originale, una moto come la Rambler, mossa da un propulsore a quattro cilindri di origine Honda che nonostante i natali rievoca le prime motociclette a quattro cilindri costruite negli Stati Uniti agli inizi del 1900. Il progetto ha preso vita segretamente nascosto tra le mura dell’officina ma lontano da sguardi indiscreti. Questa volta lo stile Old School è stato ripreso utilizzando però un inedito motore a quattro cilindri montato longitudinalmente. Questo tipo di motore è stato utilizzato in passato da Case come la Henderson, che lo adottò fin dal suo debutto nel 1912 su tutta la produzione, cessata nel 1931, la Ace, fondata a Philadelphia dallo stesso Henderson nel 1919, la Indian, che utilizzo il progetto della quattro cilindri, acquistato dalla stessa Ace nel 1927, sulla Four fino al 1943, e infine la piccola Casa Militaire, attiva negli anni Dieci. Tutte queste aziende, americane al 100%, sono ancora oggi considerate le pioniere di questo tipo di motore, costruiti in un’epoca e in una nazione dove il V-Twin monopolizzava l’intero mercato.
Dave, dopo aver trovato un motore appartenuto a una Honda CB 550 del 1973 ha tentato quello che finora nessuno aveva mai osato fare con questo propulsore: l’ha infatti “girato” di 90° e inserito all’interno del telaio longitudinalmente.
In pratica il lavoro non è stato affatto semplice, soprattutto considerando che il quattro cilindri Honda di 544 cc con distribuzione monoalbero a camme in testa e accreditato di una cinquantina di cavalli non si presta a trasformazioni in stile Old School; tutto il motore è stato dunque smontato pezzo per pezzo, creando successivamente un nuovo blocco motore ricavato dal pieno e progettato secondo lo stile Old School. I quattro carburatori originali hanno quindi lasciato il posto a un singolo Zenith, collegato a un collettore quattro in uno di aspetto old-style, identico nella foggia proprio a quelli che venivano montati nei primi decenni del secolo scorso sulle prime moto a quattro cilindri.
Allo stesso modo, sul lato opposto del motore, anche i collettori di scarico si riuniscono in un unico silenziatore, antenato degli odierni “quattro in uno”. Per questo tipo di motore la trasmissione finale ad albero è senza dubbio la soluzione più adatta oltre che quella più semplice dal punto di vista tecnico. Da una BMW è stato prelevato il cambio, trapianto altrettanto logico per i motivi sopraccitati, ma per rendere la sfida ancora più difficile Dave ha utilizzato gli ingranaggi del cambio a quattro rapporti di una R75 del secondo dopoguerra, montandoli all’interno della scatola cambio di un ancora più datata R23, lasciando alla vista gli snodi dell’albero di trasmissione, che si congiunge alla ruota posteriore per mezzo di un giunto prelevato da una vecchia Yamaha a cardano. Anche un occhio esperto farebbe fatica a riconoscere il propulsore Honda, installato all’interno del telaio artigianale realizzato da Dave per la Rambler, oltretutto “camuffato” con una verniciatura nera “vintage” e da finiture al nickel. Tutti i componenti della moto sono realizzati a mano su misura per questa moto, a partire dal telaio, anch’esso “nickelato”, così come l’originale forcella oscillante in stile Girder, con i due bracci curvi collegati alla piastra superiore da un ammortizzatore sospeso, per non parlare di una miriade di altri pezzi tirati a mano, come i dischi freno circonferenziali, che sono una specialità di Dave Cook, già utilizzata su altre sue costruzioni estreme, tra cui anche la Nickel Bike e la Gold Digger, e adottano pinze della Jay Brake a due pistonicini. In pratica, ad eccezione del carburatore, dei mozzi e raggi ruota, dei pneumatici e delle pinze freno, tutto il resto dei componenti è fabbricato direttamente da Dave Cook. Tra i dettagli più significativi, che rievocano la storia motociclistica americana, oltre ai numerosi particolari in ottone anticato, c’è anche il logo stesso della moto, che campeggia non sul serbatoio ma sul cannotto di sterzo; proviene infatti dall’antica fabbrica di biciclette Gormully & Jefferey che a partire dall’anno 1878 iniziò la produzione di biciclette chiamate “Rambler”, ma lo stesso nome venne utilizzato dai due soci agli inizi del XX secolo quando iniziarono a costruire automobili, che vennero chiamate appunto Rambler. In particolare il logo utilizzato per questa moto è quello che veniva posto sulle biciclette Rambler “Model 43” del 1901. Per quanto riguarda gli aspetti pratici, la posizione di guida è decisamente bassa con la sella, realizzata dallo specialista Rich Phillips, che non offre il benché minimo comfort, il cambio è di tipo manuale, con la leva sul lato destro e la frizione a pedale, mentre le leve al manubrio sono di tipo old style con attacco all’esterno della manopola stessa, in questo caso rivestita da strati di legno laminato. Decisamente una moto unica questa Rambler, che si è guadagnata meritevolmente il primo posto nella classifica Frestyle. Da oggi, quando sentirete parlare di motociclette made in Milwaukee guardate bene il motore prima di giungere a conclusioni affrettate!
www.cookcustomchoppers.com

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